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Le ultime ore di Civitella

Con il brigante Piccioni alla ricerca dell'amore

Prefazione storica
Gli avvenimenti narrati in questo romanzo, pur ispirati a personaggi realmente esistiti, sono frutto di fantasia.
Il periodo storico è quello dell’unità nazionale, tra il 1860 e il 1861. Con la spedizione dei Mille e le relative annessioni al Regno dei Savoia, la penisola è unita e, il 17 marzo 1861, con l’incoronazione di Vittorio Emanuele II, nasce il Regno d’Italia. Geograficamente mancano Roma e il Lazio, quello che rimane allo Stato Pontificio e il Triveneto. La resistenza contro i Piemontesi, visti da molti come invasori, è ovunque; sfocerà nel sanguinoso e lungo fenomeno del brigantaggio, una vera e propria guerra civile e di resistenza, a opera dei legittimisti, a difesa dello Stato Pontificio e del Regno delle Due Sicilie.
Anche tra le Marche e l’Abruzzo si sviluppa, verso la metà del 1860, un movimento anti unitario fomentato dal clero e dai fedeli al Regno Borbone. È un periodo di grande confusione, con attacchi e lotte tra i liberali nazionalisti e i legittimisti, senza esclusione di colpi. Numerose sono le bande armate formate soprattutto da contadini e montanari, oltre che da semplici delinquenti, che si concentrano nel teramano e sui monti ascolani. Spesso non sono coordinate tra loro, né con il comitato che organizza la resistenza ai Piemontesi, con sede a Roma, che non è efficiente, mostra grave incertezza nel prendere decisioni e risulta sostanzialmente scollegato dalla periferia. Il riferimento della resistenza nella zona è la fortezza di Civitella del Tronto, comandata dal maggiore, poi promosso tenente colonnello, Luigi Ascione, ultima roccaforte a nord del Regno dei Borbone, assediata da fine ottobre del ’60.Al comando delle truppe Piemontesi che devono espugnare la fortezza, è il generale Ferdinando Augusto Pinelli che, in un editto, aveva definito il Papa “sacerdotal vampiro che colle sozze labbra succhia da secoli il sangue…”.
Soldato particolarmente brutale, giunge a bruciare paesi e borghi solo perché gli abitanti sono sospettati di collusione con quelli che vengono definiti “briganti”. Le esecuzioni sommarie, senza processo, si susseguono, arrivando a coinvolgere anche donne e bambini e creando un vero e proprio clima di terrore. I suoi metodi, fin troppo truci e sbrigativi, gli costeranno il comando: a metà febbraio del 1861 gli subentra il generale Luigi Mezzacapo.
D’altronde i briganti, un paio di migliaia nella zona, non sono da meno: vessazioni, furti, omicidi, rapimenti di proprietari terrieri per esigere riscatti e finanziare la guerra sono all’ordine del giorno. Il comando della resistenza, nel territorio a cavallo tra le Marche e l’Abruzzo, viene affidato a Giovanni Piccioni, priore, cioè sindaco, di Montecalvo che accetta, suo malgrado, alla fine del dicembre 1860. È istruito, mostra qualità da stratega e ha, dalla sua, esperienza bellica. È maggiore degli ausiliari papalini e ha già combattuto contro i giacobini e i francesi, durante l’invasione dello Stato Pontificio nel 1815, e contro la Repubblica Romana, nel 1849.
In quella occasione, con la vittoria contro i repubblicani, ha restituito la marca ascolana al Papa.

Capitolo VII – La soluzione

Rotella, fine gennaio_ Ho inteso che un brigante riesce a eludere l’assedio e porta rifornimenti in roccaforte, a Civitella. Sta a San Gregorio o a Rocca di Montecalvo.   …proprio un posto da briganti, solo mulattiere per arrivarci, boschi, gole e pericoli. Un posto dove non resisterebbe nemmeno il diavolo… Però c’è la legna e pascoli e si fa un buon formaggio. Da quando c’è il generale Pinelli, i Piemontesi non scherzano, le cose si sono intristite…. Conosco gli ordini del generale, il suo editto: “Chiunque sarà colto con arma da fuoco, coltello, stili od altra arma qualunque da taglio o da punta sarà fucilato immediatamente. Tre ore, tre ore di cavallo per andarci. Devo fare il sentiero di San Francesco. Rotella, la gola del lupo sul Monte dell’Ascensione, Poggio Canoso dove potrei fermarmi al convento e fare una sosta, Mozzano, Taverna di Mezzo e poi Talvacchia. Certo, passare per la montagna è più breve, ma anche meno agevole, più arduo. … “Ho bisogno del suo aiuto per entrare a Civitella a liberare una donna, una mia serva. Là c’è la guerra e ho paura possa succederle qualcosa! ”

“Giovedì, a mezzogiorno, nella chiesa di San Gregorio”.

Capitolo VIII – San Gregorio

…. San Gregorio è prossima a Talvacchia, dovrò fare un’altra lunga cavalcata per arrivarci e con la neve che in questi giorni è caduta, il viaggio non sarà agevole. Devo coprirmi meglio: andando da Don Domenico, la scorsa settimana, ho preso una bella freddata. Devo anche valutare se mi conviene passare per i sentieri dell’Ascensione, di neve ne è caduta tanta, troppa, per arrischiare. Forse mi è più conveniente passare per la strada grande, da Poggio di Bretta, da lì arrivare a Mozzano e poi salire per i soliti sentieri fino ai dirupi dove sono quei borghi. Mi conviene partire prima, può sempre capitare un imprevisto e voglio arrivare tosto.

… Chissà che tipo sarà questo Giovanni Piccioni. Deve essere davvero speciale.

Capitolo IX – Il brigante Piccioni

San Gregorio, fine febbraio 1861 _Sono in anticipo sull’orario indicato. Giunto che sono a qualche centinaia di metri dal paese, sulla strada innevata, mi si para davanti un uomo che, dico la verità, è spuntato all’improvviso non so proprio da dove. E alberi non ce ne sono, e neppure una macchia nelle vicinanze, chissà dove se ne stava acquattato. Sono avvezzi a nascondersi e mimetizzarsi, come i camaleonti e sanno essere rapidi. “Altolà! Chi è?”. Rispondo che sono a incontrare Giovanni Piccioni. “Sci, lu maggiorë a v’aspètta”, si, il maggiore vi aspetta, mi risponde l’uomo che ha uno schioppo a tracolla. “Viènnë chë mmè”, vieni con me, aggiunge, precedendomi e prendendo in consegna le briglie del mio cavallo. … Si somigliano un po’ tutti questi paesi di montagna. Un’unica strada per arrivarci, dopo lunghi tornanti, in mezzo ai dirupi, la stessa per uscire, una piazzetta con appiccicate l’un l’altra una decina di casupole, per lo più di pietra, una chiesa, la solita osteria. San Gregorio ha una particolarità, essendo un po’ più grande di tutti gli altri che ho visto, ha il privilegio di avere una bottega da maniscalco, dove il mio accompagnatore conduce me e il mio cavallo, ordinandomi di scendere e aspettare nuovi “ordini”…

“Spètta qua!”, aspetta qua. È vicino alla chiesa e così, intanto che devo rimanere in attesa qualche tempo, decido di fare un saluto al buon Signore, anche se non sono così uso e avvezzo al suo giudizio. …

Dopo una decina di minuti che stavo in chiesa, tutta di pietra, con cinque, sei panche in tutto, mi raggiunge l’uomo con lo schioppo, quello che mi aveva detto di aspettare. “Viènnë”, vieni, mi dice e mi incammino appresso di lui, che ha sempre lo schioppo in spalla. Lo tiene per la cinghia tesa con la mano destra. Attraversata la piazzetta, a dritta, si apre una piccola strada. Pochi metri ed ecco che, di fronte a me, vedo un porticato con dentro pecore e capre, a manca una scalinata di pietra che porta al primo piano, che il mio accompagnatore imbocca. Lo seguo e dopo pochi scalini, non sono molto alte le case di questi paesini di bassa montagna, mi apre la porta entrando in un grande ambiente, con un tavolo e in mezzo e, appoggiato al muro, un grande camino. In fondo alla stanza, di guardia, un paio di personaggi che non mi sembrano particolarmente raccomandabili, forniti, noto, oltre del solito schioppo a tracolla, di bei coltellacci che pendono dalla cintura. “Ècchë lu maggiòrë”, ecco il maggiore, mi dice l’uomo indicandomi la figura di colui che sta seduto davanti al fuoco, con le mani protese verso la fiamma, fregandosele, a scaldarsi e i piedi appoggiati alla ròla del camino. È costui rannicchiato su se stesso, con indosso una abbondante maglia di lana grossa, bianca, di quelle che fanno le donne delle nostre campagne e, senza nemmeno voltarsi mi chiede: “Mi volevate incontrare, ecchëmë, stenghë qua!”, eccomi, sono qua. Mi avvicino e domando a mia volta: “Come debbo chiamarvi …?”. “I sò Nannì dë Pëcciò, sono Giovanni Piccioni ma oramai, come sapete, tutti mi chiamano il brigante”, e così dicendo si volta verso di me e, finalmente, posso vederlo in faccia. Rimango colpito dalla folta barba bianca, incolta, dal naso aquilino e, soprattutto, dagli occhi lucidi, furbi, e dallo sguardo penetrante. Due tizzoni pari a quelli che stanno ardendo, che mi squadrano dall’alto in basso…..

Capitolo X – Cudàza Rotella, 6 marzo 1861 Ieri sera è passato Cudàza, il brigante, il brutto ceffo che ho visto a casa di Piccioni. Mi ha portato la nuova. Fra una settimana, martedì prossimo, la sera, si partirà per Civitella. Devo farmi trovare a San Gregorio prima che faccia buio. Ancora le giornate sono corte e, in pratica, sarà per il pomeriggio.….

Capitolo XII La partenza

San Gregorio, 12 marzo 1861 _ Ha smesso di nevicare e una prima parte di uomini, quattro o cinque, si incammina verso il sentiero che dobbiamo percorrere. Per arrivare a Civitella dobbiamo superare la Montagna dei Fiori e arrivare al Salinello, prima di arrischiare l’ultimo tratto più scoperto. È incredibile vedere il passo sicuro di questi montanari affondare nella neve, ritmato, cadenzato. Li vedo allontanarsi dalla porta della stalla rimasta aperta. “Partiamo a gruppi – mi dice il Piccioni – bisogna sempre avere qualcuno in avanscoperta, che vada avanti e ci conforti sul fatto che non ci sia nessuno ad aspettarci. È la prima regola. Ci fanno sapere se la strada è libera”. Con loro sono partiti anche i cani. Gli animali riescono a sentire prima dell’uomo se ci sono situazioni di anormalità, se c’è qualche presenza imprevista, sia essa umana che animalesca, la annusano nell’aria. Passano una decina di minuti, un suono, un cenno e una seconda parte della comitiva si avvia. È la parte più numerosa, ogni uomo si carica addosso, in spalla, una cesta con il suo contenuto. …. Ormai la rotta è tracciata, il passaggio di una trentina di uomini ha frantumato la neve e gli stivali non affondano, si è formato una specie di stradello poltiglioso che agevola, e non di poco, il cammino. Assurdo il silenzio che si può ascoltare, solamente lo strascinare dei piedi, null’altro. Nessuna parola, nessun suono, i rumori del bosco e quello del volo di qualche uccello impaurito dall’insolita invasione, oppure l’ululare, lontano, dei lupi. Non ho paura, il gruppo, in questo, protegge. Sento distintamente l’ansimare cadenzato dei miei compagni di viaggio, soprattutto di quelli a me vicini, Piccioni e Cudàza, e degli altri, più avanti, in fila indiana. Hanno un andare lento ma costante, senza accelerazioni o cadute di ritmo. Mi adeguo. Siamo partiti da poco e non sento nessun tipo di affanno, solamente la fatica del portare il peso del corpo e della bisaccia in questi sentieri che sembra si avvolgano su se stessi. Si sale costantemente, ma il cammino si svolge regolare. Dopo un’oretta il pigolare secco, ripetuto e ritmato di una civetta fa sì che tutta la squadra si fermi. Un uomo arriva correndo con un certo affanno, si avvicina prima a Cudàza e poi a Giovanni Piccioni il quale, sentite le parole riferitegli, senza metter tempo in mezzo decide che ci si fermi a Rocca di Montecalvo. Rocca di Montecalvo è più in basso di San Gregorio, ma è il punto da cui iniziare a scavalcare la Montagna dei Fiori…

……

Pietroneno Capitani, nato a Montedinove (AP) nel 1956, vive e lavora a Rimini. Pubblicista, ha collaborato con l’Unità e “ Paese sera”. Ha già pubblicato “Bussavano con i Piedi “ nel 2006, “ U Schògghiu” nel 2010. Con Primiceri Editore ha pubblicato “ Il Melograno” nel 2017.
       Per Gentile concessione dell’Autore _ Pietroneno Capitani.

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